Punto di partenza
Il salmo 51 è una ricchezza inesauribile.
Esso attraversa tutta la storia della Chiesa e della spiritualità: costituisce lo schema interiore delle Confessioni di Sant’ Agostino; è stato amato, meditato, commentato da S. Gregorio Magno; è divenuto segnale di ardente difesa dell’immagine di Dio nelle infuocate prediche del Savonarola e motto di speranza dei soldati di Giovanna d’Arco; è stato studiato intensamente da Martin Lutero che vi ha dedicato pagine indimenticabili; è lo specchio della coscienza segreta dei personaggi di Dostoevskij e una chiave di lettura dei suoi romanzi.
Esso è quindi il salmo dei grandi uomini di dio. musicisti come Bach, Donizetti e altri più vicini al nostro tempo l’hanno ripensato in musica. Celebri pittori l’hanno descritto con meravigliose incisioni.
È soprattutto il salmo che ha accompagnato le preghiere, le lacrime, le sofferenze di tante donne e di tanti uomini che vi hanno trovato conforto e chiarezza nei momenti oscuri e pesanti della loro vita.
Il Miserere è la preghiera
dell’uomo di sempre, appartiene alla storia dell’umanità, non solo alla storia
dell’
Oriente ebraico e della civiltà occidentale cristiana. Meditandolo noi entriamo
nel cuore dell’uomo e nel cuore della storia dell’umanità.
Commento:
i primi versetti del salmo ci introducono a scoprire chi è Dio. il punto di partenza del cammino di conversione del cuore è l’iniziativa divina di misericordia: Dio è sempre il primo a dare la mano, il piatto della bilancia pende sempre dalla parte della sua bontà.
I vocaboli che la Bibbia della CEI usa per indicare ciò che l’uomo ha fatto – il peccato, le colpe – non rendono adeguatamente la lingua originale. Infatti nel testo ebraico sono tre parole diverse che andrebbero lette così: “…cancella la mia ribellione, lavami da ogni mia disarmonia, mondami, tirami fuori, da ogni mio smarrimento”. Il peccato è uno sbaglio fondamentale dell’uomo, una distorsione, una disarmonia, una ribellione, una volontà di progetto alternativo e contrastante il progetto di Dio.
Alle parole che indicano lo sbandamento dell’uomo fanno riscontro tre appellativi divini: “Pietà… misericordia… amore”. C’è il peccato dell’uomo, pur se declinato con termini diversi, e ci sono tre attributi di Dio. Questa sproporzione indica che l’insistenza non è sull’uomo peccatore, sulla povertà di ciò che noi siamo, ma è sull’infinità di Dio.
Cerchiamo di riflettere brevemente sulle parole che definiscono il Dio della misericordia e della bontà.
Chi è Dio.
La prima parola è racchiusa in un verbo ma, in realtà, è la radice di un sostantivo. Quello che in italiano traduciamo con: “Pietà di me”, in ebraico è semplicemente: “Grazia, fammi grazia, riempimi della tua grazia”.
Si chiede dunque a Dio che sia per noi grazia, che prenda interesse a chi sta male, a chi si trova in difficoltà, che ci dia una mano. È l’esperienza di Maria che canta: “Signore, tu hai guardato alla povertà della tua serva e mi hai fatto grazia, mi hai riempito della tua grazia”.
Dio è dono gratuito, è l’essenza della gratuità. Quando noi diciamo che Dio non può avere alcun interesse a pensare a noi, ad occuparsi di noi, riveliamo di avere un’idea falsa di Dio. abbiamo di Lui, per dirlo con una parola tecnica, un’idea farisaica, che cerca cioè di capire Dio partendo dalle categorie del calcolo.
Dio gode nel poter donare qualcosa a chi ha bisogno di essere sostenuto, a chi non si sente nessuno, a chi si sente in basso. Egli vuole versare il suo valore in noi e non giudica il nostro.
La seconda parola è “misericordia”. È interessante notare che l’espressione è: “Secondo la tua misericordia” e non: “nella tua misericordia”; oppure, “perché sei misericordioso”. Il salmista sottolinea la proporzione infinita, che l’uomo intuisce senza comprenderla, della misericordia divina.
In ebraico il termine è hèsed ed ha una lunga storia ricca di significato. Indica, infatti, l’atteggiamento tipico di Dio verso il suo popolo, che comporta lealtà, affidabilità, fedeltà, bontà, tenerezza, costanza nell’attenzione e nell’amore.
Si potrebbe anche tradurre con “gentilezza”, nel senso di tenerezza, che non si smentisce, che non svanisce mai.
Dio è colui che io non conosco, ma per il quale è importante – secondo la parola di Gesù – ogni capello del mio capo. Nulla avviene in me senza un’attenzione della tenerezza di Dio.
Noi traduciamo hèsed con “misericordia” perché la gentilezza di Dio si fa più tenera quando noi siamo deboli, fragili, peccatori, incostanti, strani, poco attraenti e forse pensiamo che Dio fa bene a non ricordarsi di noi, farebbe bene a castigarci.
La terza parola è “nel tuo grande amore”. In ebraico si dice “rahammìm” e significa “le viscere, l’utero materno”. È un vocabolo profondamente materno e indica la capacità di portare qualcuno dentro, di immedesimarsi in una situazione così da viverla nella propria carne, da soffrirne e goderne come di cosa propria.
Questo attributo di Dio è qualcosa che può capire chi ha amato un’altra creatura con un amore totale, viscerale, coinvolgente, appassionato. Potremmo quasi tradurre: “secondo la tua grande passione per l’uomo, abbi misericordia o Dio”.
Questi tre attributi di Dio ci danno il tono del salmo 51, che è un inno a incontrare Dio così com’è. Partendo dalla contemplazione dell’iniziativa divina per l’uomo. Ci invita prima di tutto ad avere una grande e giusta idea di Dio.
Domande:
- Ho una giusta idea di Dio
- Ho qualche idea sbagliata su Dio
- Che cosa posso fare per correggere l’idea sbagliata che ho di Dio
- Ho qualche idea sbagliata sul prossimo? Come posso fare per correggerla
Il riconoscimento della situazione
Le parole dei primi versetti del salmo, su cui ci siamo soffermati, ci introducono nella sezione centrale di questo salmo che si può, utilmente, dividere in tre parti.
La prima parte è il riconoscimento di una situazione. I verbi sono tutti all’indicativo ed espongono, sottolineano dei fatti: riconosco la mia colpa, contro di te ho peccato, sei giusto quando parli, mi insegni la sapienza.
La seconda parte esprime la supplica. Il brano cambia di tono e quasi tutti i verbi sono all’imperativo: purificami, lavami, fammi sentire gioia, distogli lo sguardo, cancella, crea in me, non respingermi, non privarmi, rendimi la gioia, sostieni in me.
La terza parte è il progetto per l’avvenire. I verbi sono al futuro: insegnerò, la mia lingua esalterà.
Con termini a noi più abituali possiamo chiamare: esame di coscienza il riconoscimento della situazione; richiesta di perdono la supplica; proposito il progetto per l’avvenire. Sono tre momenti chiaramente distinti nella lettura, anche nella differenza dei verbi.
Verso la verità di noi stessi
Tre sono i soggetti che vengono presentati in azione.
Il soggetto che appare più di frequente è la stessa persona: l’io. Io conosco la mia colpa, io ho peccato contro di te, io ho fatto quello che è male.
Un altro soggetto, in terza persona, è il peccato. Il peccato e la realtà del peccato in cui l’uomo si sente inserito: nel peccato sono stato generato, nella colpa mi ha concepito mia madre.
Il terzo soggetto dell’azione, quello determinante, la chiave per capire tutto il significato del brano è il Tu.
C’è quindi l’io che riconosce, c’è una determinazione generale della situazione di colpa, c’è un Tu con cui termina questa prima parte e che è il punto focale: Tu vuoi la sincerità del cuore, Tu nell’animo mi insegni la sapienza.
Cerchiamo di riflettere innanzitutto sulle parole che hanno per soggetto il Tu, per poter poi comprendere meglio quelle che precedono.
Nel testo ebraico l’espressione: “Tu vuoi la sincerità del cuore” è più difficile: “Tu ami la verità nell’oscuro”, cioè Tu ami la verità, che è la luce, anche là dove l’uomo è perduto nei meandri della sua coscienza.
“Tu mi insegni sapienza nel segreto”. La sapienza è una delle realtà più alte e più profonde dell’Antico Testamento: essa è ordine, proporzione, luminosità, calore creativo, progetto divino di salvezza.
Ecco la chiave della prima parte del salmo: Dio, nella sua iniziativa di amore e di misericordia, proietta nell’oscurità della mia psiche, nel profondo della coscienza, la luce del suo progetto. Così facendo mi porta a scoprire la verità di me stesso, mi dà respiro, mi aiuta a cogliermi rispetto a ciò che sono chiamato ad essere, a ciò che avrei dovuto essere, a ciò che posso essere con la sua grazia.
La verità e la sapienza di Dio sono luce autentica, benefica, amichevole che, entrando nelle pieghe dell’anima dove neppure io stesso mi rendo conto di ciò che succede, mi istruisce e mi sospinge alla sincerità e all’autenticità di quello che io veramente sono.
Il dialogo con il Tu
Se abbiamo inteso almeno un poco, la forza di queste parole, possiamo meglio leggere quelle che si trovano all’inizio: “contro te, contro te solo ho peccato”. Ho fatto ciò che non va davanti a te.
A prima vista ci appare strana questa espressione, soprattutto se la riferiamo a colui che, storicamente, è ritenuto l’emblema della vicenda raccontata nel salmo, cioè a David e al suo peccato. Altro che peccare contro Dio soltanto! David ha peccato contro un suo fratello, un amico; lo ha fatto morire slealmente, gli ha preso la moglie, è stato dunque omicida e traditore.
Eppure l’insistenza è sul rapporto con Dio, che attraverso quelle azioni si è instaurato. E forse qui si vuole esprimere qualcosa che emerge dalla storia di David. In realtà, nessuno conosceva il peccato di David, tanto bene era riuscito il suo tessuto di imbrogli, ed è solo il profeta Natan che glielo rinfaccia.
Tuttavia quando gli vengono apertamente detti gli intrighi che ha fatto, David è posto di fronte alla verità terribile della sua coscienza.
Peccando contro l’amico con il tradimento, con l’infedeltà e con l’adulterio, David si è messo contro Dio e contro tutti coloro che Dio difende come cosa sua: “Contro te contro te solo ho peccato”. L’espressione è molto simile alla parola centrale della parabola evangelica del Padre misericordioso: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro te”. Tutto ciò che il figlio ha fatto riguarda tante altre cose: la sua vita dissoluta, il suo sperpero, tutti gli errori, tutti gli illeciti da lui commessi, vissuti. Tutto questo però viene riassunto nel suo rapporto col Padre; nel suo rapporto con Dio (Lc 15,11-32).
L’uomo, istruito da Dio, entra nel fondo della propria verità, riconosce in dialogo che il suo sbaglio, in sé e attorno a sé, piccolo o grande che sia, ha leso l’immagine di Dio, ha leso il suo rapporto con Dio.
Il richiamo è importante per noi che siamo giustamente abituati oggi a sottolineare gli aspetti sociali del peccato: il peccato cioè non è soltanto contro Dio, tocca la Chiesa, disgrega la società, ferisce la comunità. Qui ci viene ricordato che Dio sta dietro a ogni uomo, ad ogni persona che noi trattiamo male, che inganniamo o disprezziamo. Ci mettiamo contro Dio tutte le volte che respingiamo il fratello o la sorella che ci stanno vicino e che attendono da noi un gesto di carità o di giustizia. Tutti i problemi della storia, il problema etico, il problema della giustizia, della pace, il problema dei giusti rapporti con i familiari, personali, sociali sono il problema dell’uomo nel suo dialogo con colui che lo ama, lo conosce e lo aiuta a conoscersi nella sua verità.
Non viene infatti detto: ho peccato, ho sbagliato. Viene detto: “Contro di te ho peccato”. La personalizzazione della colpa è insieme un atto di profonda verità e un atto di estrema chiarezza perché questo riconoscimento dell’uomo che parla così, che è educato a parlare così, non ha nulla a che fare con il senso deprimente e avvilente di colpa.
Tutti noi siamo soggetti a momenti di tristezza senza uscita, di ira, di sdegno, di vendetta contro noi stessi: sofferenze inutili generate dal senso di colpa che non è vissuto in un dialogo con Dio, sofferenze che non possono renderci migliori.
Le parole del salmo ci rivelano la differenza tra l’esame di coscienza fatto in dialogo con Dio e tutta l’analisi della colpa, delle debolezze, delle bassezze che ciascuno riconosce in se stesso e che arrivano a deprimere profondamente lo spirito rendendolo ancora più stanco e incapace di lottare.
In questo salmo, scritto più di duemila anni fa, noi cogliamo l’uomo che ha trovato la via giusta per il pentimento, la via del riconoscimento di colpe gravissime ma espresso davanti a Colui che cambia il cuore dell’uomo. Notiamo anche il carattere personale, affettivo, delle parole: “Quello che è male ai tuoi occhi”. Ai tuoi occhi, al tuo amore che mi ha creato, fatto, amato, progettato.