La gioia di cominciare a leggere per pregare.
Su suggerimento del nostro parroco e di alcuni di voi, cerchiamo questa sera di leggere e pregare il salmo 131 nel modo in cui abbiamo fatto con l’ultimo salmo, il 130. Seguiremo lo schema della “Scuola della Preghiera”. Sarà, però, “Scuola della Parola”, perché vogliamo pregare – dando uno spazio al silenzio contemplativo -, alla scuola della Parola di Dio. È sempre una sfida per l’uomo, per noi oggi, il coraggio di entrare nel silenzio, ma vogliamo concentrarci più particolarmente sulla Parola di Dio come fonte di preghiera: imparare a leggere la parola di Dio come nutrimento della preghiera e come guida, luce per la nostra vita.
Scuola della Parola vorrebbe appunto dire che cerchiamo di leggere la Parola di Dio così che essa diventi in noi preghiera e illumini la nostra esistenza. Questo non è facile, non si fa in pochi minuti; qui ci avviamo soltanto a questo esercizio di ascolto orante della parola di Dio. Perciò abbiamo bisogno che lo Spirito di Dio ci illumini, e lo pregheremo intensamente anche per questo.
La preghiera dei Salmi
Non possiamo parlare a lungo dei Salmi, ma almeno diciamo che sono elevazioni a Dio cantate dal popolo di Dio, sono preghiere. Noi dovremo per forza fare una certa analisi, però questa analisi servirà soltanto per facilitare poi la nostra preghiera; sono un modo con cui Dio ci insegna a pregare. E sono preghiere cantate, cioè non sono dette semplicemente con le labbra, ma preghiere nelle quali tutto l’uomo si coinvolge nella sua emotività, nella sua fantasia, nell’immaginazione.
Quindi i salmi sono poesia, e per questo sono ricchi di immagini, di ritmo; vanno cantati, almeno interiormente, per poterli cogliere nel loro messaggio.
Sono dunque una preghiera, preghiera cantata, e propria del popolo di Dio. Cioè li recitiamo non semplicemente come una preghiera antica che ha conservato un suo calore, una sua ricchezza con il passare dei secoli, ma come preghiera del popolo di Dio in cammino oggi: la preghiera che Dio mette oggi sulle labbra del suo popolo. Preghiere della Chiesa di oggi, e ci insegnano che cosa la Chiesa di oggi deve chiedere a Dio, che cosa deve desiderare, che cosa deve sperare. Dunque cerchiamo di meditare sui Salmi entrando in questo ritmo di poesia, di preghiera che essi, a nome di Dio, per ispirazione divina, in maniera autentica vogliono mettere dentro di noi.
Il cammino dell’uomo verso Dio
Questa sera meditiamo su un salmo che è stato scelto perché può indicare bene l’inizio del cammino dell’uomo verso Dio. È uno dei più brevi di tutto il salterio, composto soltanto di tre strofe. Potrebbe persino sembrare troppo semplice, quasi un salmo su cui non c’è niente da dire, perché è tutto chiaro già con le parole con le quali viene pronunciato.
Tuttavia, dietro questa semplicità apparente, questo salmo nasconde molti problemi, suscita in noi molti interrogativi; quindi cerchiamo di capirlo, chiedendo al Signore che ci dia davvero un cuore semplice, capace di accogliere la Parola di Dio con tale chiarezza che ci permetta di coglierne tutte le profondità.
Cerchiamo dunque di riflettere un momento su questo salmo.
Come si vede, il salmo è composto di tre strofe brevissime, l’ultima più breve di tutte.
- Nella 1° strofa c’è la descrizione di ciò che l’uomo non deve fare; è una serie di espressioni negative: “Non si inorgoglisce il mio cuore, non si leva con superbia il mio sguardo, non vado in cerca di cose grandi”. Quindi questa prima strofa definisce ciò che l’umo di fronte a Dio non vuole essere, non deve essere, anche se purtroppo sente di essere così: ma vuole diventare diverso.
- La 2° strofa invece, esprime ciò che l’uomo in realtà è di fronte a Dio, ciò che vuole essere di fronte a Dio: “Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come bimbo svezzato è l’anima mia”. E in questa seconda strofa tutto è detto con un paragone, quello del bambino nelle braccia della madre.
- La 3° strofa, invece, inaspettatamente riporta quella scena, che sembra soltanto individuale, nell’ambito dell’intero popolo di Dio; ciò che è detto qui vale non solo per l’uomo singolo, ma è per tutto il popolo.
Ecco, molto semplicemente, il messaggio del salmo, ciò che esso ci dice a prima lettura.
Ma se noi ci riflettiamo un po’ di più, incominciano a nascere delle domande, dei problemi. Questo salmo non è così evidente, così ovvio come sembra.
Prendiamo per esempio la 1° strofa: “Non vado in cerca di cose grandi”. Perché? Non è forse una caratteristica intima dell’uomo questo bisogno continuo di superarsi, di cercare cose al di sopra di sé, più grandi di sé? Anche per quanto riguarda la 2° strofa, con l’immagine del bambino in braccio alla madre, potremo domandarci: “Ma come può l’uomo dormire così quando il mondo è in agonia; come può l’uomo desiderare come ideale questa placidità quando tutte le cose intorno sono in tumulto?”.
Possiamo accettare questo salmo tale e quale? Che cosa ci vuol dire davvero? La speranza dell’uomo sarebbe dunque un sonno placido?
Vediamo che non è tanto facile da recepire nel sul messaggio; cerchiamo allora di rileggerlo e capire che cosa ci vuol dire davvero.
Cominciamo da ciò che sembra più semplice, questa immagine del bimbo svezzato, in braccio a sua madre. Anche dal punto di vista linguistico della traduzione, non è facile capirla, perché l’immagine più immediata che potrebbe venirci in mente è quella del bambino di pochi mesi che piange e si agita perché vuole il latte. E una volta che è stato allattato, che è stato nutrito, allora si addormenta tranquillo nelle braccia della madre. Questa sembra l’immagine più giusta: il bambino allattato è pacifico. In realtà, però, il testo parla di svezzato, cioè di un bambino slattato, che ha già superato il primo tempo di vita. Anzi, secondo ciò che sappiamo del mondo antico, del mondo ebraico, del mondo orientale, e da qualche indicazione che ci dà la Bibbia, il termine del periodo di allattamento avveniva dopo tempi piuttosto lunghi.
Quindi la parola ebraica non corrisponde alle sole due parole italiane, ma è sostantivo che significa “un bimbo di tre anni”; un bimbo che ha terminato il ciclo dell’allattamento e già si muove, cammina, sa già parlare. L’immagine non è del neonato, ma del piccolo bimbo che già comincia a muoversi e agitarsi. E allora mi sembra che si voglia dire qualcosa di più di ciò che noi intendiamo comunemente: è il bambino che ha già scelto la madre, cioè che ha cominciato a riconoscerla, a capirla coscientemente come persona in cui può avere piena fiducia. È un bambino che già comincia a muoversi, a giocare, a incontrare altri, e ad un certo momento è preso da spavento perché si trova di fronte a persone o cose più grandi di lui; allora corre a rifugiarsi nelle braccia della madre, e là ritrova la sua serenità, ritrova la sua pace. È un bambino che nei primi momenti in cui affronta la vita sa di avere un punto sicuro di riferimento, dal quale ripartirà poi per affrontare nuovamente la vita.
Questo bambino non è abbandonato a se stesso, ma procede nell’esistenza avendo un punto di riferimento assoluto di cui non può dubitare in nessuna maniera, nel quale sa che può rifugiarsi, e da cui può ripartire per affrontare la vita con coraggio.
Leggerei così questa seconda strofa, in un senso che vorrebbe dar ragione piena alle parole del testo originale ebraico. E, se possiamo leggere dietro a queste parole qualcosa di più di ciò che esse non ci dicano a prima vista, qualcosa di simile avviene anche se tentiamo una rilettura della prima strofa.
Là dove la traduzione italiana ci dice: “Non si inorgoglisce il mio cuore”, in realtà l’ebraico dice: “Il mio cuore non monta in alto, non va sulle alture, i miei occhi non si tendono verso l’alto”.
Che cosa si può leggere dietro a queste espressioni? In realtà sono espressioni che richiamano il culto delle alture, il culto degli idoli che si trovano sulle montagne, a cui l’uomo guarda per avere un’immediata sicurezza. Qui, dunque, non sta parlando semplicemente l’uomo che ha raggiunto una certa mediocrità dell’esistenza, e quindi ha imparato a rinunciare a desideri più grandi di sé per una certa filosofia quasi scettica, dicendo: “Tanto vale desiderare poco, perché nella vita si può ottenere poco”; non è l’uomo che ha imparato attraverso una maturità un po’ stanca a mettere d’accordo desideri e realizzazioni restringendo l’ambito dei desideri.
Non è quest’uomo, come ci potrebbe sembrare a una prima lettura, ma è l’uomo che cerca la sua grandezza, la verità di sé stesso non affidandosi agli idoli, alle opere delle sue mani, ai sogni ambiziosi della sua potenza, diventati mitici e idolatrati come potenze delle quali egli potrebbe disporre in qualunque modo. È un uomo che, avendo rifiutato tutte le forme di idolatria, riconosce che l’unica grandezza è Dio.
Questo non andare in cerca di cose grandi – non levare con superbia lo sguardo – vuol dire per l’uomo biblico: “Dio solo è grande”; è quindi l’uomo che riconosce la grandezza infinita di Dio. Di fronte a questa grandezza si sente povero, si sente nulla, ma la sua nullità lo riempie di serenità, di autenticità.
C’è un’altra espressione in questa prima strofa che vale la pena di capire meglio, quella che in italiano è tradotta: “Non vado in cerca di cose superiori alle mie forze”. Anche qui è piuttosto un tentativo di traduzione, perché in realtà l’ebraico dice: “Non cammino”, cioè non mi muovo, non vivo la mia espressione umana basandomi su cose strepitose; non cerco le apparenze, ma mi fisso alla verità assoluta di Dio.
Vediamo che gradualmente, cercando di capire il salmo, noi usciamo da una interpretazione un po’ troppo ovvia, immediata (come fosse il salmo della semplicità tranquilla, della mediocrità, raggiunta attraverso lo smorzarsi dei desideri); entriamo invece nel cuore del suo significato: l’uomo che riconosce che Dio è tutto, che Dio solo è grande, che di Dio ci si può fidare incondizionatamente, e che quindi in Dio tutto può essere tentato, riuscito; perché anche se a noi appare piccolo ciò che facciamo, tutto ha valore in quel Dio al quale ci siamo totalmente dedicati.
Abbiamo cercato così di capire un po’ che cosa c’è dietro alle parole del salmo, di leggere quella intuizione spirituale in cui esso affonda le radici. È un senso profondissimo dell’assoluto di Dio, di Dio baluardo fermissimo per l’uomo; di Dio realtà alla quale l’uomo si può affidare ciecamente, di fronte al quale l’uomo non è niente, ma nel quale tutto è possibile.
Nulla è superiore alle forze dell’uomo quando compie ogni cosa in Dio e secondo la verità che egli, giorno per giorno, ci manifesta; quando l’uomo non cammina più dietro ai suoi sogni, ma nella verità di Dio.
Avvio alla preghiera e alla meditazione
Questo dunque è il messaggio del salmo, ciò che esso ci dice; e a partire da esso, possiamo proporci qualche domanda che ci introduca nella preghiera e nella meditazione. Le domande possono essere le seguenti:
- Che cosa dice questo salmo al popolo di Dio?
- Che cosa dice questo salmo a me stesso?
- Che cosa dico io a Dio attraverso questo salmo?
Vorrei esplicitarle così:
- Che cosa dice questo salmo al popolo di Dio?
Abbiamo detto che il salmo – che sembra essere tutto individuale – con l’ultima strofa: “Speri Israele nel Signore, ora e sempre” si manifesta in realtà come un salmo di tutto il popolo. Dobbiamo chiederci allora che cosa dice questo salmo al popolo di Dio. Per l’Antico Testamento dice che un popolo il quale ha come orizzonte della sua speranza il Dio infinito, non ha paura di niente, può sperare tutto: la sua speranza è senza limiti perché riposa nella stessa infinità di Dio, nella sua infinita misericordia, nella sua infinita potenza, nella sua grandezza senza limiti.
Quindi il popolo che conosce la grandezza di Dio, il popolo che lo adora in verità, è un popolo che da questo orizzonte infinito del suo agire riceve una pienezza di speranza. Certamente sarà anche un popolo che si farà una cultura, una civiltà, un’avvenire, ma non come idoli, confidando soltanto nell’opera delle proprie mani e cadendo perciò di delusione in delusione; lo farà ponendosi di fronte alla speranza assoluta di Dio che non viene mai meno.
Che cosa dice ora questo salmo al popolo di Dio, che cosa dice alla Chiesa oggi? Sappiamo, come Chiesa, sperare nell’assoluto di Dio? Abbiamo questa fiducia, non nelle opere delle nostre mani, ma in Dio solo da cui viene la forza delle opere delle nostre mani? Siamo capaci di questo abbandono alla Parola?
- Che cosa questo salmo dice a me?
Ciascuno di noi può interrogarsi: qual è la mia fiducia in Dio? Qual è il mio abbandono in lui? Sento la serenità di chi si abbandona in lui, o c’è nel mio profondo molta inquietudine, molta angoscia, molta paura perché ancora non ho accettato l’assoluto di Dio?
E poi potremmo applicare a noi questo salmo con le parole del Nuovo Testamento: “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. È necessario giungere a questa assoluta semplicità di abbandono al Dio grande.
E soprattutto potremmo fare nostre le parole di Maria: “L’anima mia magnifica il Signore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva”. Questo è il salmo della Madonna la quale, non essendo mai andata al di là di sé con sogni fantasiosi o inutili, ha trovato una pienezza senza fine nella potenza di Dio che in lei si è manifestata.
- Che cosa dico io a Dio attraverso questo salmo?
Sono capace di recitarlo vivendo tutto il rifiuto delle speranze vane o inutili e con la certezza assoluta che Dio è la mia speranza in ogni momento, e che in lui mi posso abbandonare con fiducia totale?
Chiediamo nella preghiera che questa certezza assoluta diventi il fondamento della nostra vita, e che quindi tutte le nostre azioni siano segnate da questa sicura speranza.